Her: Capitoli Universitari
Capitolo 0: Roma

Carissimi e carissime voi,
in un banale martedì di pioggia, chiaramente senza ombrello, sono costretta a smettere di correre e ripararmi, sono costretta a fermarmi e pensare.
E penso che la mia Identità siano proprio i calzini fradici nascosti dentro gli stivaletti.
I calzini hanno visto la mia giornata partire, hanno corso con me, hanno preso la polvere delle strade di Roma, il sudore ed ora la pioggia.
Tutta quest’acqua verrà a casa con me, sarà nei calzini lasciati sul termosifone, sugli stivaletti che macchieranno il pavimento, sui vestiti che verranno gettati umidi tra la roba da lavare.
Nella mia casa, oltre a tutta me, entrerà una parte di questa città rimasta impigliata nei calzini: una casa decisamente troppo piccola per tutto questo materiale ingombrante, tuttavia qualsivoglia volta che varco la soglia di quella casa, con me entra tutto ciò che conosco, che ho visto e che mi ha vista.
Tutto ciò che costituisce la mia Identità.
Carissimi e carissime voi: siamo la lingua che parliamo o la lingua che parliamo è il prodotto di ciò che siamo?
È stato uno degli argomenti più toccati nella metà del ‘900, ancora ora dopo studi su studi, libri su libri, esami su esami, io nel mio piccolo cosmo
soggettivo non saprei dare una risposta, e non parlo di una risposta universale ma di un parere da tenere per me, un’opinione. Ciò che è oggettivo (fortunatamente, che le certezze sono sempre poche ma bene accette) sono le regole della grammatica: a priori dal senso e dal significato, nella lingua italiana -come in molte altre- abbiamo aggettivi e pronomi possessivi.
Una cosa può essere mia, tua, sua, loro e con tali “possedimenti” andiamo a riempire quello che è il nostro microcosmo.
- La mia idea è.
- Il mio lavoro è.
- La mia casa è.
La nostra Identità è in parte costruita su tutto ciò che lasciamo entrare nel nostro spazio, per cui è costruita da noi stessi, ed in parte è costituita su decisioni che hanno preso altre persone o su condizioni che non possiamo controllare: dove siamo nati, in che famiglia siamo cresciuti, chi ci ha voluto bene e chi ci ha fatto del male anche senza volerlo, oppure condizioni psicofisiche con la quale una persona nasce o sviluppa che determinano possibili scelte della propria vita, scelte che in un modo o nell’altro formano il carattere e l’Identità.
Ma che succede quando una cosa che c’è sempre appartenuta non la riconosciamo più?
Quando la mia casa non è più “la mia”?
Se si nasce in una città grande è più facile identificare come proprio un quartiere; Roma è grande quanto 3/4 città unite tra loro.
Se si passa dal centro ad una zona anche solo lievemente più lontana, neanche periferica, sembra di cambiare città, quando si prende la metro sembra di viaggiare nel tempo: scendi sotto terra che diluvia e dodici fermate dopo giri per le strade con le maniche corte.
In più mi piacerebbe sfatare tutti i luoghi comuni costruiti dai romani che imitano i romani, tra le differenze che ci sono tra Roma Sud, la Roma centro dei radical chic e Roma Nord, ma non posso perché non sono solo luoghi comuni: ogni quartiere ha una sua personalità, non esiste una sola unica personalità appartenente all’intera città.
Infondo questo è ciò che volevano gli antichi romani, o meglio, è la conseguenza di secoli di conquiste e appropriazioni.
Carissimi lettori e carissime lettrici,
non so da dove vi stia capitando di leggermi, ma se la narrazione della grande città vi affascina potrei raccontarvi cosa significa avere un appuntamento e dover partire un’ora prima per arrivare in orario, oppure cosa vuol dire camminare per le strade di una città storica, dove le opzioni che vengono offerte sono: 1) cascare per terra distratti dalla bellezza di ciò che si ha attorno, 2) uscire di casa con la convinzione di poter prendere i mezzi pubblici, e scoprire che metro/ bus/ tram sono stati bloccati perché facendo dei lavori sono sbucati fuori altri reperti storici.
Per non parlare delle strade: prendere il motorino su una liscissima strada che, quando meno te l’aspetti, a tradimento si trasforma in un ciottolato composto dai famosi sanpietrini che distruggono le gomme e la schiena.
Eppure la mia casa è questa città: io appartengo a lei almeno quanto lei appartiene a me, con le sue mille personalità che viaggiano da quartiere a quartiere.
Questo è il Capitolo 0 del mio blog universitario: conosco ciò che ha formato e continua a formare la mia Identità, so da dove vengo e ciò che mi appartiene, eppure ciò che la mia città mi ha insegnato è la fluidità.
Non solo per la storia che conserva, secoli e secoli di connessioni con altri popoli e altre culture, volute e non, ma per l’acqua.
Roma è una città piena d’acqua: scorre dalle fontane, per le strade, viene lanciata dai balconi la notte, quando c’è
troppo rumore, e soprattutto Roma è fatta di nasoni, fontanelle piazzate ovunque che lasciano scorrere acqua potabile, uno scroscio continuo che riecheggia per la città, ce n’è persino uno famoso a Trastevere che lascia scorrere l’acqua “degli artisti”.
Roma è una città talmente legata all’acqua che quando piove decide di conservarla, di allagarsi totalmente e trasformarsi in una città di mare, dove camminare con gli stivali non basta e i jeans con cui hai deciso di uscire di casa sono bagnati fino alle ginocchia.
Io vi scrivo osservando questa pioggia che scorre tra i sanpietrini, senza ombrello, al riparo sotto i balconi dei palazzi; vi scrivo guardando l’acqua che scende, centrando di tanto in tanto una bottiglia di vino lasciata ai bordi della strada.
Essendo questa personalità cittadina parte di me, dei miei calzini, allora anche io voglio scorrere e annettermi alle altre culture, architetture, alle altre persone che arrivano e abitano altri luoghi.
Io sono Her, e con il mio blog itinerante vorrei portarvi con me, scorrere tra le città per vedere dove vado a finire e inglobare tutto ciò che posso imparare.
Spero sia facile seguirmi, vi aspetto al prossimo capitolo, con estremo amore
la vostra Her.